Solo il 23% delle donne è fisicamente attiva, contro il 32% degli uomini.
Il paradosso moderno è chiaro: più migliorano le condizioni economiche e tecnologiche, meno ci muoviamo.
L’importanza dell’attività fisica è supportata da una mole crescente di studi scientifici condotti in tutto il mondo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato i risultati di una delle indagini più ampie mai realizzate sul tema, riportata su The Lancet Global Health.
I dati sono allarmanti: già nel 2016, ben 1,4 miliardi di persone (circa un quarto della popolazione mondiale) non rispettavano le raccomandazioni minime di attività fisica settimanale: almeno 150 minuti di attività moderata o 75 minuti di attività intensa.
Le donne risultano essere meno attive degli uomini: solo il 23% delle donne svolge sufficiente attività fisica, contro il 32% degli uomini. E ciò che preoccupa ancora di più è che dal 2001 non si sono registrati miglioramenti significativi.
Lo studio ha analizzato 1,9 milioni di adulti in 168 paesi, considerando ogni forma di movimento: attività lavorativa, domestica, spostamenti e tempo libero.
Nei paesi ad alto reddito, l’inattività è aumentata del 5% in 15 anni, raggiungendo il 37% della popolazione. Nei paesi a basso reddito, invece, si ferma al 16%.
Le conseguenze? L’inattività fisica è legata all’aumento del rischio di malattie cardiovascolari, diabete, tumori, oltre a compromettere la salute mentale e aumentare il rischio di cadute negli anziani.
Per contrastare questo fenomeno, l’OMS ha lanciato il Global Action Plan, con l’obiettivo di ridurre l’inattività fisica del 10% entro il 2025 e del 15% entro il 2030. Ma per raggiungere questo traguardo serve l’impegno di tutti: istituzioni, professionisti, scuole, palestre e singoli individui.